Viaggio a Chernobyl: quattro giorni trascorsi in “The Zone of Alienation”: Nel cuore di Pripyat – 25/05/2011

Il giorno 25 Maggio 2011 il filo che univa i tratti caratteristici della città di Pripyat continuava a dispiegarsi su quelle strade sconnesse.

Il primo dei luoghi visitati al mattino fu un’altra scuola, nota per la presenza di un tappeto di maschere antigas. Stupisce la loro quantità, sparse sul suolo, all’apparenza sembrerebbe il risultato di un intenso intervento a seguito di un attacco chimico, sono frutto invece  di un probabile furto delle parti metalliche contenute nei filtri.

La zona di esclusione stimola immaginari che oltrepassano i suoi limitati confini. A volte  si osserva una degenerazione del significato del luogo, trasformandola in una ambientazione fantascientifica. Capita spesso cercando informazioni in rete di imbattersi in un videogame dal titolo Stalker qui ambientato, una ulteriore banalizzazione dei più profondi contenuti del film del regista russo Tarkovsky.

Negli edifici destinati all’educazione i riferimenti alla storia sovietica abbondano. In più occasioni ci si è imbattuti nelle celebrazioni di episodi della Seconda Guerra Mondiale. Nell’immagine seguente il poster  ricordava  l’invasione tedesca, l’Operazione Barbarossa, del 22 Luglio 1941. (Traduzione: “40 anni”).

La giornata fornì una ampia descrizione visiva dei luoghi di Pripyat destinati allo sport, alla produzione, allo svago, alla cultura, all’incontro, allo spettacolo, al trasporto, alla vita e alla morte.

Pianta della città di Pripyat a Nord-Ovest, con la piazza centrale a destra e la fabbrica Jupiter a sinistra.

I regimi autoritari nella costruzione dei nuovi individui han sempre posto particolare attenzione anche alla loro prestanza fisica, un impianto sportivo non poteva mancare nella città pianificata dai soviet.

Nella piscina non ci fu da spendere molto tempo. Ed anche poco da dire, un decay nella norma. L’umore della giornata, positivo come sempre, era sostenuto dal principale soggetto di interesse, l’unica fabbrica di Pripyat, “Завод Юпитер” (Fabbrica Jupiter).

Esternamente è un prevedibilissimo impianto sovietico in cemento armato, ma il bianco sporco delle facciate, la spigolatura, la replica interminabile di finestre, assumevano toni spettrali con la complicità della luce che precedeva il temporale.

Come ci si può attendere, varcando la soglia è come se fosse passato un uragano, girandoci dentro come un serpente. In quell’ammasso di rottami, documenti, arredi, il tutto logorato da polvere e umidità, fu possibile scorgere infiniti dettagli.

Ci sono numerose voci attorno a questo luogo produttivo, per il quale molti dubbi sono stati sollevati sulla sua reale funzione. Ufficialmente sarebbe stato destinato alla produzione di nastri magnetici ma non è possibile trarre precise indicazioni relative ad eventuali operazioni di copertura per attività di altra natura.

Scendendo le scale, e superando un tratto un po’ allagato, facendo attenzione ad evitare il contatto con l’acqua, si aprirono corridoi bui dove non ci fu nient’altro di interessante che un deposito di prodotti chimici da laboratorio.

Venne il turno poi dello svago e intrattenimento a Pripyat.
La fotografia di abbandono ha i suoi piccoli totem. Uno di questi, relativamente a Pripyat, è la ruota panoramica del luna park, nel retro del Palazzo della Cultura.

Visibile dai tetti dei palazzi la ruota è un consolidato elemento del paesaggio urbano della città. Attorno sono presenti anche altri resti di quanto riservato all’intrattenimento, che poi fossero entrati in funzione o meno non ho avuto modo di capirlo, da ciò che si legge nei siti dedicati all’argomento.

Cielo plumbeo e vento rendevano la città ancor più solitaria e deserta, ravvivata solo dai colori della vegetazione i primavera.

Il Palazzo della Cultura è un perno della città pianificata, nella quale spesso al centro vi si trovano i teatri, svolgendo la funzione di simbolo e richiamo che nella nostra vecchia Italia è stato riservato a Palazzi della Ragione o chiese.

A fianco del palazzo c’è l’Hotel Polissia, altra icona cittadina da cui sono state scattate probabilmente alcune delle fotografie più diffuse del volto di Pripyat.

In un edificio poco distante si trovava un ammasso di arredi, strumenti musicali e cianfrusaglie, oggetti che, persa la loro funzione, il loro contesto originario, sono solo cumuli di spazzatura.

Maggiore interesse destò un vicino teatro con palcoscenico ed un paio di pianoforti. Appariscente la facciata all’ingresso dell’adiacente scuola di musica contornata dalla vegetazione.

Per terminare con i luoghi che caratterizzano l’ambiente urbano ci si recò ad una stazione di arrivo di traghetti e autobus, nell’ansa del bacino artificiale a fianco della città.


Le barche sono piegate dalle infiltrazioni d’acqua, probabilmente altre affondate dal logorio del tempo o come conseguenza delle distruzioni operate dai ladri di metallo trovato in questo luogo contaminato, una  discutibile fonte di guadagno.

Comunemente in un luogo turistico si ricercano gli elementi vitali, come tratti caratteristici della loro esistenza e capacità di attrazione del pubblico, a Pripyat è forse meglio seguirne l’infausto destino, e proseguendo con coerenza nel percorso estico controcorrente di Derelicta.net non potemmo finire che al cimitero.

La tombe sono circondate da piccole recinzioni e cancelli, rendendole più private.
Non mancano i segni di abbandono ma nel complesso le tombe si presentano spesso ancora curate. La radioattività nel terreno è più elevata che altrove, non è tale da rappresentare un imminente pericolo, ma per questa ragione la sosta nel luogo non superò i dieci minuti. Probabilmente nessuno lo fa  ma in via  precauzionale i miei pantaloni, scarpe e felpa utilizzati in questi giorni di visita finirono nella spazzatura.

Il luogo è tra i più contaminati della città a causa della mancata bonifica del terreno, ovvero la sua rimozione superficiale, come fu operato nel resto dell’area. Le operazioni avrebbero rimosso anche gli ultimi ricordi di chi a Pripyat ci è vissuto, ed è morto prima di vedere la propria città seguire questa miserabile sorte.

Segue: Il lato oscuro di Chernobyl