Le origini dell’attività mineraria sull’isola d’Elba risalgono ad alcuni millenni fa, sono stati infatti ritrovati i resti di una antica attività fusoria.

Di rame l'isola non fu mai ricca quanto di altri minerali, ma in passato poteva essere sufficiente per le esigenze. Oggetti in rame sono stati trovati presso la grotta di San Giuseppe, vicino a Rio Marina, a cavallo tra il III e II millennio A.C. Ancor più scarsi i ritrovamenti di metallo dell'Età del Bronzo.

percorso storico del ferro

In Italia furono gli Etruschi ad introdurre questa pratica estrattiva proveniente dall'Oriente, prima in Egitto, poi in Europa. Tracce di attività fusoria all'Elba con l'impiego di forni fanno risalire  l'estrazione del ferro a 3000 anni fa circa. Forni nei quali si introducevano strati alterni di minerale e carbone di legna.

Etruschi forno

Prima di assumere  il nome Elba  l'isola si chiamava Ilva, nome derivato dalla popolazione degli Ilvates di Genova che vi si insediarono. Navigatori greci la chiamarono invece Aehitalia, a causa dei numerosi fuochi visibili da  lontano, ai navigatori, accessi per l'attività fusoria. 

Nel IV-V secolo sull’isola si giunse all’esaurimento dei boschi, e ciò causò una crisi dell’attività. In conseguenza di ciò gli Etruschi iniziarono a trasportare il metallo via nave presso il continente, ove si trovava abbondante legname. Era un'attività siderurgica costiera, una scelta di posizionamento fino ai giorni nostri praticata.

mappa etruria

L’attività si sviluppò nella città che prese il nome di Pupluna (Populonia), poco sopra l’attuale Piombino. L’insediamento proto industriale di Populonia permise inoltre di lavorare i minerali estratti dalle colline metallifere toscane e di Campiglia. A Madonna della Fucinaia sono presenti resti di antichi forni. Ciò si può osservare nel parco archeologico di Populonia e Baratti.

Prima del 1500 A.C. i forni erano ricavati in buche del terreno, ricoperte di argilla refrattaria, riempiti con il minerale e carbone di legna. Un'apertura sottostante garantiva l’afflusso di aria, ma le temperature non superavano i 1000°C. Si otteneva ferro misto tra metallico e carburo.

Gli Etruschi adottarono forni sviluppati in altezza, caricati con strati di minerale e carbone di legna. Si realizzarono in argilla, prima della carica o forse successivamente alla costruzione del cumulo. L’apporto di aria necessario era fornito probabilmente con mantici, manualmente, oppure orientando il forno in direzione dei venti. Forni a doppia camera erano impiegati probabilmente per la desolforazione.

Etruschi forno fusorio

Queste informazioni sono da ritenersi indicative, non possedendo certezze sulle operazioni di fusione del ferro. Probabilmente le temperature erano appena sufficienti per la fusione. Si osservano infatti nei residui di scorie ritrovati percentuali significative di ferro residuo. Fino ad inizio Novecento la spiaggia di Baratti (Populonia) era ricoperta di scorie, così come le colline, ed anche all'Elba erano presenti depositi. La richiesta di ferro per la Prima Guerra Mondiale portò al consumo anche di questi fonti di metallo. Anche successivamente per alimentare i forni dell’ILVA si impiegarono queste scorie, rivelando anche reperti archeologici durante le escavazioni, ma distruggendo contemporanemante molte tracce del passato.

 Colline nere di detriti originate della lavorazione del ferro delle miniere etrusche
Depositi di scorie lasciati dall'attività etrusca

Trasportato via terra e via mare il materiale estratto raggiungeva anche le popolazioni del Mediterraneo.

Dal III sec. A.C. iniziava l'occupazione romana, e al declino della civiltà etrusca corrisponde la progressiva conquista dei loro territori. L'attività prima permessa si ridusse, fino all'interdizione del lavoro minerario dal II sec. D.C. Nell’80 A.C. Populonia fu distrutta. Per ripristinare i boschi della Toscana e del Lazio le attività siderurgiche furono interrotte. Le miniere dell’Elba ripresero lo sfruttamento dopo l’anno 1000, da parte delle popolazioni che possedettero l’isola. Furono numerose e si videro avvicendarsi per il dominio dell'isola eserciti appartenenti ai numerosi Stati della penisola o del Mediterraneo.

Nei primi decenni del XVI sec. uno scrivano della Cancelleria Appianea compilava la copia, giunta sino a noi e conservata nel Comune di Rio Elba, degli “Statuta Rivi”. Era il codice di leggi e norme che regolava civilmente e penalmente la vita dei cavatori. Gli statuti raccolgono ordinamenti e tradizioni risalenti fino al periodo pisano, e rappresentano assieme ai codici di Massa Marittima ed Iglesias una preziosa e rara documentazione dell’antica legislazione mineraria in Italia. 

Nel 1548 i Medicei fondarono Cosmopoli, sul territorio di Ferraia (già Fabricia), quella che oggi è chiamata Portoferraio.

Nel frattempo lo sviluppo siderurgico procedeva nel continente. Stabilimenti medicei si trovavano a Caldana e Valpiana, mentre a Follonica ne sorgeva uno Appianeo. Verso la fine del XVI secolo si migliorava il processo di riduzione degli ossidi contenuti nel materiale estratto, per l'ottenimento del ferro fuso. Si impiegava in precedenza il cosiddetto "metodo diretto", che lasciava però alte concentrazioni di ferro residuo, scarsa quindi la resa del processo. Con la costruzione dei primi altiforni si apriva una fase proto-industriale per il ferro elbano. 

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Schema ILVA: evoluzione delle tecniche fusorie

Nel corso del Settecento, l'età dei Lumi diede un contributo alle conoscenze della natura dei suoli del luogo. E' del geologo Paolo Savi la prima carta mineraria e geologica dell'isola.

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Disegno di fine Settecento

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Carta geologica della Toscana di Paolo Savi

I Granduchi di Toscana tennero conto del patrimonio minerario elbano. Nella fase post rivoluzionaria, nel 1802, l'Elba fu annessa alla Francia, e così le rendite minerarie. Malgrado le intenzioni di Napoleone non si ebbe lo sviluppo minerario e siderurgico atteso. Napoleone arrivò nel 1814. Pensava di realizzare un altoforno e ferriere ma scarsa era la possibilità di rifornire l'isola di carbone con continuità. Gli inglesi conoscevano il processo e lo tenevano segreto.

Con il trattato di Vienna l'Elba tornava poi al Granducato di Toscana, e quindi al Demanio del Regno d'Italia nel 1860.