Viaggio a Chernobyl: quattro giorni trascorsi in “The Zone of Alienation”: Assistenza ed educazione a Pripyat – 24/05/2011

Secondo giorno del tour.
Chernobyl è erroneamente posta  al centro di negative valutazioni, considerata  in una condizione di abbandono per l’elevata contaminazione radioattiva, e conseguente tragedia umana dovuta all’allontanamento forzato della popolazione dalla propria città.

Questo destino però la storia non lo riservò a Chernobyl, al tempo evacuata ma che oggi possiede una propria anomala vitalità.
La città morta per eccellenza è Pripyat, e solo ad essa spetta il ruolo di detonatore delle immagini più significative per la storia di questa porzione di territorio ucraino.
La mattina del secondo giorno questa era la nostra destinazione.
Un secondo check point attende coloro che vogliono entrare entro i suoi confini, con un controllo apparentemente molto formale.

Check point  alle porte di Pripyat

Varcata la sbarra si entra in una strada simile a quelle incontrate nei boschi dei centri abitati. Pripyat si trova oggi immersa in una rigogliosa vegetazione, non la avvolge, non la fa scomparire, ma la nasconde all’occhio curioso che si trova a scoprirla con la dovuta lentezza.
E’ in questi percorsi labirintici che si scorgono improvvisamente tra gli alberi edifici di cui si cerca dai primi istanti di riconoscerne la funzione d’origine.
La nostra prima fermata fu all’ospedale di Pripyat.

Area con i padiglioni dell’ospedale

Ingresso dell’ospedale

Ancor prima di addentrarci nei sei padiglioni del sito fu necessario indossare maschere, meglio se con filtri adeguati, necessari per evitare di respirare eventuali polveri presenti. Erano necessarie solo nei sotterranei dell’ospedale, nei quali erano rimasti infatti alcuni indumenti indossati dai vigili del fuoco al tempo dell’incidente.

A dire il vero malgrado aver girato a lungo nei bui e bassi corridoi non si trovò nulla di simile, ma ciò rende l’interrogativo più inquietante, trattandosi di materiale molto più radioattivo rispetto ad ogni altro oggetto ritrovabile oggi comunemente a Pripyat.

Breve clip girato nei sotterranei dell’ospedale.

Tolti i filtri l’aria sembrava tornare fresca quanto quella di montagna, ma tutt’attorno l’ospedale indicava il protrarsi degli anni di degrado, vandalismo e sottrazione di oggetti. Tutto appare pesantemente deturpato. Questo caratterizza ogni edificio di una città che ebbe oltre 50.000 abitanti.

Ci fu dato un tempo ampio dalla guardia, tre ore in completa autonomia per scoprire ogni angolo di quel primo luogo per nulla familiare. I vari reparti sono riconoscibili dalla tipologie di oggetti presenti, molti a dire il vero ma in una condizione di totale confusione e distruzione generale.

Ciò che è molto poco conosciuto dell’ospedale di Pripyat, a giudicare dalle numerose fotografie ormai presenti in internet, è l’obitorio. Ero deciso a trovarlo se esistente.
E l’obitorio trovai. In russo si chiama секционная, pronunciato come “Sekzionaia”, che un rudimentale disegno e scritta rendevano ben evidente. Due le tipologie di tavoli, da una variante cromatica del verde, ad un più freddo bianco piastrellato con lavandino.

Indicazione dell’obitorio

Tavolo di dissezione

Mi sorprese però trovare un anfratto semioscuro il quale da vicino mi rivelò gli interessanti oggetti presenti sugli scaffali: piccole bottigliette contenevano residui simili a tessuti, ormai secchi per la perdita del liquido conservante. Nella vita ognuno si toglie le proprie soddisfazioni, e Derelicta.net ha la propria inusuale forma di caccia al tesoro.

Campioni all’obitorio

Molti sono i reparti dell’istituto, sei i padiglioni, infiniti i dettagli volendocisi soffermare.

Per concludere ho preferito documentare ad ampia veduta, cercando la scala diretta al tetto. La presenza della vegetazione richiede che il paesaggio a Pripyat sia valutato dai più alti edifici, visitati successivamente. Fu però la prima vista del paesaggio urbano di una intera città in abbandono.

Dal punto di raccolta le tappe successive si sarebbero succedute a brevi intervalli, ogni edificio visitato distava solo pochi minuti dal precedente.
L’autista ci fece scendere vicino ad una scuola, ve ne sono alcune di vario grado.
Ciò che stupisce è ritrovare dopo 25 anni di distruzione e saccheggio un elevato numero di dettagli relativi alle attività svolte fino alla data dell’incidente.

Le numerose scritte in cirillico e i manifesti di propaganda calano il visitatore nel profondo quotidiano di Pripyat nel pieno della sua passata attività.
La scuola abbonda di documenti, i più interessanti dei quali sono lavori svolti dai ragazzi su piccoli album, in cui incollavano immagini ritagliate, fotografie, cartoline, a seconda del tema.  Anche nelle scuole è possibile  trovare maschere antigas in ampi quantitativi, portati alla luce dalle cantine probabilmente  per rubare  il metallo contenuto nei filtri, così lessi tempo fa, non potrei confermare questa ipotesi.

L’attrazione naturale verso scale che prendono la direzione del sottosuolo mi fece dirigere verso uno buio sotterraneo. Apparentemente ricordava un’area destinata a servizi termici o di deposito, dal fondo sconnesso e fangoso. Con grande stupore da una piccola porta la torcia illuminò alcuni banchi di scuola;  il luogo ed il soffitto molto basso rendevano molto improbabile che ciò rappresentasse uno spazio dedicato all’insegnamento quotidiano.

I poster sovietici alle pareti laterali, ed ancor più quelli presenti al fondo dell’umida cella, rivelavano dettagli sulla sua vera natura, una scuola di tiro, confermata dalla presenza in uno spazio attiguo, altrettanto claustrofobico, in cui erano presenti casse,  un tavolo ed una maschera antigas. La scritta sulla parete, “огневой рубеж” significa  “linea di tiro”.

Sono aspetti della vita locale difficilmente visibili nella moltitudine di fotografie scattate in questo angolo d’Europa. Il turismo non consente i margini di libertà necessari per la ricerca dei dettagli utili ad un approfondimento. Per questa ragione credo che un viaggio a Chernobyl sia utile solo se compiuto in determinate condizioni che consentano, nella pur limitante parentesi temporale concessa, libertà di movimento.

Un’altro punto focale della realtà urbana di Pripyat è rappresentato dagli asili, ne sono presenti diversi, l’ultimo mai aperto, costruito nel settore di espansione a Nord-Ovest della città era il numero 13, uno di questi fu sufficiente per documentarne  fotograficamente la condizione.

La particolarità di questo luogo è la numerosa presenza di giocattoli sparsi ovunque. Il turismo dell’abbandono a Pripyat non è immune dalle tipiche abitudini dei frequentatori di questi luoghi,  la messa in posa degli oggetti trovati, così falsamente posizionati da rendere il soggetto non testimone ma artefatto, non da ultima l’immancabile sedia ovunque  posizionata, ormai un feticcio della fotografia di luoghi in abbandono.

Anche in un luogo destinato agli abitanti più piccoli non si risparmiavano gli atti di propaganda, che  è tale se  osservata da un punto di vista occidentale. Concettualmente non è diverso un padre della rivoluzione  da un padre di natura religiosa,  salvo che  la storia si misura in un caso nei decenni, nell’altro nei secoli. Ma è comunque significativo che  sia Lenin a dominare la scena dei poster  e lavori scolastici e  mai Stalin, lasciando intendere  un riconoscimento, anche  inespresso, degli errori della Storia. L’Ucraina fu pesantemente afflitta dalle purghe staliniste, ed il più noto dittatore sovietico sarebbe anche particolarmente fuori luogo in questa porzione di ex URSS.

Nell’immagine seguente dalla prima parola manca  una lettera, per esteso si legge”вечно живoи”, ovvero “per sempre  vivo”.

Rimanendo nel settore orientale della città ci si spostò in un’altra scuola.

Stupisce trovare più volte un richiamo alla pace, anche nei lavori degli studenti, ed uno sguardo agli Stati Uniti in termini per nulla belligeranti o di forte contrasto ideologico. Rivelano invece una ricerca di dialogo e confronto, un’apertura che la guerra fredda e l’altrettanto pervasiva propaganda occidentale anticomunista non ha messo sufficientemente in luce.

Purtroppo i tempi concessi per ogni luogo, benchè variabili da poche ore a mezzora non hanno permesso alcun approfondimento. La quantità dei dettagli è tale da poter riservare a ciascuno di questi luoghi almeno una intera giornata di studio.

Ci dirigemmo quindi verso la  stazione di polizia. Una città modello come Pripyat non ha probabilmente prodotto significativi casi di disordine pubblico. Pochi i posti letto, se così si possono chiamare questi economici alloggi. Sembrava un luogo per stato di fermo più che di detenzione.

Ingresso della stazione di polizia

L’unico corridoio con celle ai lati

Interno scomodo e claustrofobico di una cella, in fondo il giaciglio a  più piazze.

Non durò molto la visita, pertanto si chiuse la giornata con uno dei due punti più panoramici della città, l’alto palazzo da 16  piani. Solo da questi punti d’elezione si coglie il pieno della dimensione degli spazi urbani che il tempo e l’azione umana  decompongono rapidamente.

La vista dell’intera città di Pripyat da Nord-Ovest con la vista delle centrali sul fondo .

Sotto: vista di dettaglio

Un luogo che conserva  una tragica unicità, a pieno titolo un testimone che nei secoli può rappresentare più le macerie che le rovine di questa nostra civiltà.

Ma è difficile immaginare  una ristrutturazione di un luogo che è al tempo stesso testimonianza utile e scomoda, oltre che non priva di pericoli. Se ci fossero fondi da destinare alla Zona di Esclusione questi andrebbero alla copertura ormai decrepita del reattore  numero 4 a cui restano ormai pochi anni di vita probabile, prima del collasso della pesante struttura di cemento, con il conseguente  rilascio di una ulteriore quantità di polvere radioattiva sul territorio ucraino ed europeo. Un’emergenza  che lancia una ulteriore sfida ad  un mondo in bancarotta, che quindi prepara  in serie, ad effetto domino, una dopo l’altra le tragedie dei prossimi decenni.

Dopo il ritorno, la sera tardi, quando ancora  i succhi gastrici combattevano con plotoni di proteine, lipidi e zuccheri delle abbondanti cene di Chernobyl, quei luoghi carichi di potenza ebbero modo di rivelarsi alla luce delle torce.

Quando tutti furono ormai chiusi dentro le loro dimore, e fuori regnava  un silenzio da coprifuoco, in quattro ci avventurammo di notte nei boschi della cittadina, dove  decine,  centinaia di piccole case di legno conservano ancora poche ma  significative testimonianze della vita precedente  all’esodo, perlomeno ciò che non fu portato con sè o successivamente rubato.

Segue un breve video, montato con frammenti da me girati. La traccia sonora sovrapposta  potrebbe essere intesa come falsamente suggestiva, ma non può che essere  una ricostruzione immaginaria, uno schermo non potrà mai contenere  l’energia potenziale di questi luoghi che, rilasciata lentamente, ci sovraccarica con la loro storia ed il significato.

Segue: Nel cuore di Pripyat