Viaggio a Chernobyl: ultimo dei quattro giorni trascorsi in “The Zone of Alienation”: Il lato oscuro di Chernobyl: la centrale 5\6 e Duga-3- 26/05/2011

Venne il momento in cui si girò il capitolo finale di questa esperienza che ho di nuovo messo in onda nella mia memoria, riavvolgendo un nastro che si materializza scorrendo le fotografie dell’archivio.
Come un crescendo sinfonico, inatteso, il viaggio a Chernobyl, o più propriamente in un’area vasta colma di sorprese, la quarta tappa si chiuse entrando in luoghi che al turista sono del tutto celati alla vista.
Nella cosiddetta Zona di Esclusione avevo sperimentato fisicamente la presenza nei luoghi altre volte osservati nelle tante immagini che internet e le varie pubblicazioni han mostrato. In alcuni casi, la scuola di tiro sotterranea o l’obitorio, ci fu la percezione di essere entrati in un piccolo angolo più intimo e riservato.

La quarta e ultima giornata di questo tour denso di significato ci rivelò il volto oscuro di questi territori, luoghi che prima dell’incidente non sarebbe stato nemmeno immaginabile poter vedere con i propri occhi senza esser parte di un establishment sovietico e militare.

Vista satellitare della centrale  mai completata

La mattinata iniziò con la improbabile, fino alla sua riuscita, visita alla centrale in costruzione al momento dell’incidente , quella che avrebbe dovuto contenere i reattori 5 e 6.

Ciò che rese molto difficoltoso se non impossibile entrare in quel tempio di cemento armato alto decine di metri, fu la necessità di essere accompagnati da un ulteriore funzionario, prelevato direttamente dagli uffici del corpo delle ex centrali atomiche. Si presentò, un uomo alto, magro e silenzioso, con lui ci dirigemmo verso l’edificio.

Nei pressi di questa immensa struttura un ulteriore check point, o più propriamente una roulotte, la guardia e il funzionario dialogarono con la persona posta a presidio dell’ingresso.
Incredibile a dirsi, il cancello si aprì, l’ingresso a quella misteriosa area ci fu concesso, fissando un tempo limite, entro il quale il più esperto tra noi ci guidò, armato di una potente torcia, nelle buie stanze e corridoi di una centrale nucleare per quanto fredda, buia e vuota ma non priva di senso, trattandosi di fatto di un impianto molto simile a quello che a poca distanza è tuttora un cimitero di rottami altamente radioattivi.

Ho già scritto abbondantemente sia delle centrali che dell’incidente, nelle pagine di documentazione del sito web.

L’area delle centrali

L’incidente di Chernobyl

Come accadde spesso in questo tour concentrato gli ampi spazi ed il tempo regolato richiedevano i movimenti del fotoreporter più che della fotografia di architettura di interni o paesaggio.

Muovendosi nell’oscurità rotta dalla luce filtrante da  sporadiche aperture, fu possibile soffermarsi nei principali ambienti della centrale.

Sala pompe

Vista sul retro da un’apertura nella parete

Sala a fianco del reattore

Parte superiore del vano in cui inserire il reattore

Parte  inferiore  del vano del reattore

Il tetto è costruito su vari livelli, l’ultimo dei quali non è più agibile. La rimozione del metallo ovunque fosse possibile ha comportato un taglio con fiamma ossidrica delle strutture superiori.
Da quel privilegiato punto di vista si può osservare il paesaggio da un’angolazione alternativa. La centrale appare in tutta la sua dimensione, imponenza, altezza.

Vista sulle torri di raffreddamento mai terminate

Vista sul carro ponte da 640 tonnellate e il deposito dei rifiuti liquidi in costruzione e non terminato.

All’orizzonte è possibile scorgere il rettangolo di Duga-3, la gigantesca antenna vietata, un segreto militare giunto ai nostri occhi solo a seguito dell’abbandono di quelle terre contaminate.

Usciti da quel gigante di cemento si diede un occhio ad un enorme carro ponte nelle vicinanze, impiegato per la movimentazione nell’area di assemblaggio del reattore, mai terminato e smontato.

Non comprendendo i discorsi in lingua russa non riuscivo mai a capire  i dettagli del piano, mi adeguavo date le piacevoli sorprese, ma nulla poteva giungere più sorprendente sapendo che la successiva destinazione era proprio Duga-3.

Via di accesso per la stazione di trasmissione Duga-3

In effetti ci sono possibilità di avvicinarla sufficientemente per inquadrarla dal rettilineo cementoso e sconnesso che porta alla stazione, altro è ottenere il permesso per varcare la soglia del check point, un cancello con due stelle argentate, per poterla apprezzare pienamente in tutta la sua maestosa presenza.

Vista da satellite  della stazione detta Chernobyl-2

Duga-3 è una enorme antenna trasmittente ad alta frequenza, operativa nella stazione chiamata Chernobyl-2, attiva dal 1976 e chiusa nel 1988. Fu chiamata Woodpecker” a causa  del tipo di  segnale di disturbo emesso e registrato nel mondo senza  una sua esatta  localizzazione. Aveva  lo scopo di seguire  il lancio di missili balistici intercontinetali durante la Guerra Fredda.

Lunga circa 500 metri, ed alta circa 150, la indicherei tra le meraviglie dell’abbandono planetario. Purtroppo per farsi una ragione di ciò è necessario avvicinarla dalla parte opposta, dove sono presenti i dipoli, i cavi, ed una struttura geometrica intricata e affascinante che sovrasta il minuscolo visitatore che si trova schiacciato da quella visione. Non c’è grandangolo che la contenga dritta e intera. Indietreggiando alle spalle spunta una foresta che rende impossibile coglierne pienamente la portata.

Ancor più incredibile fu ottenere il permesso, o forse solo l’indifferenza, per poterla scalare. Le scale verticali non appartengono al mio background di esperienze, soprattutto se portano a 150 metri. Mi accontentai del terzo di dieci piani, a quaranta metri dal suolo il panorama era già mozzafiato.

Vista verso il basso da 40 metri

Piani restanti per la vetta di 150 metri.

Scendendo e trovandomi solo presi la direzione del centro di telecomunicazioni. Chernobyl -2 possiede diversi edifici di servizio.
Ebbi modo di dare un’occhiata introducendomi in bui corridoi, rischiarando ignoti ambienti con la torcia e o con qualche rapido scatto con il flash, illuminando stanze con residui di apparecchiature ed un marciume e decadimento generale.

Tornato al furgone e ricongiuntomi con il resto della compagnia trovai la guardia in particolare stato di euforia positiva, o generale nel gruppo. Offrì così ai presenti del lardo su fette di pane aggiungendo della vodka, corretta con succo di arance  rosse, una merenda poco mediterranea ma altamente gradita.

La destinazione successiva fu Chernobyl. Ci sarebbe dovuta essere una visita ad uno dei numerosi villaggi abbandonati della zona di esclusione ma il tempo non lo concedeva. Chernobyl avrebbe offerto una degna chiusura, rilassata, un uscita di scena dopo l’imprevisto e improbabile picco raggiunto nella giornata.

Fu così il turno del cimitero delle barche ancora per poco galleggianti sulla baia della città, per poi passare in un piccolo parcheggio di mezzi militari nel vecchio campo sportivo ed una chiesa del tutto ristrutturata, unico oggetto in questa area di desolazione che presentasse colori saturi e cromatismi celestiali.

Nel poco tempo rimasto si aggiunse una piccola visita ad alcune delle case abbandonate di Chernobyl, tra le tante presenti nei boschi della cittadina e già visitate una delle sere precedenti, in modo alquanto avventuroso.
Al chiaro della luce diurna le tracce umane, quotidiane, appaiono rapidamente, senza quella forza che la luce delle torce nella notte carica di mistero.
Qualche quadretto, libri, bottiglie, vestiti o stracci, qualche fotografia o cartolina, pochi arredi, o ammassi di oggetti.

Come uno scherzo del destino, dopo esser sopravvissuto alle profondità, al buio, alle altezze, ai ruderi, alla ruggine, vetri e rottami radioattivi, nel compiere l’ultimo passo uscendo, nell’ultima piccola casa, il suolo si spezzò, il peso del corpo ormai proiettato in avanti mi fece uscire. Si aprì un piccolo buco nel legno marcio della piccola veranda, cosa ci fosse sotto non potrei dirlo, buttandoci un sasso direi che era profondo un metro. Lo ignorai, è un piccolo interrogativo che mi porto appresso e che contribuisce a tenere vivo un ricordo.

Terminare queste cronache è come chiudere un voluminoso tomo trovato in un bunker antiatomico. Tornare per mesi su questi temi, rielaborando le informazioni, le esperienze, le immagini, i video, fa scorrere linfa vitale, stimola approfondimenti, produce visioni, innesca sensazioni, impone un ritorno, fino a che non si possa dire di aver compreso tutto in ogni minimo dettaglio, e chiudere così la potente porta in acciaio che si chiude al termine di viaggi di questa portata, che sbattendo produce in noi un tonfo profondo e metallico, riverberante, come il suono grave di una campana da morto.